I pranzi a mensa di Via De Lollis non
erano solo pausa pranzo, erano rituali fondamentali per il
superamento della giornata universitaria. A partire dall’umore con
cui si affrontava Emotivamente
la giornata.
dialoghi interni tra il me genitore ed il me bambino. adulto non pervenuto.
29 novembre 2012
17 agosto 2012
il 9.11.1989 di Adler
Per motivi, più o meno, di lavoro dal
2009 trascorro almeno parte delle mie estati a Berlino. Ogni anno
cerco di conoscere qualche tedesco in più, spero sempre di trovarne
uno della Berlino Est di media età e che possa rispondere alla mia
fatidica domanda:
cosa ricordi del giorno della caduta
del muro?
Ho raccolto molti racconti, ma quelli
dei miei coetanei trentenni sono pressoché identici, nonché farciti
di luoghi comuni. I ricordi di bambino si sono mischiati alle
ricostruzioni fatte dai mediame quindi tutti i racconti parlano di
momenti epici, di gioie immense, di senso di liberazione...
Così ho continuato nelle mie ricerche
cambiando target: uomini sui 40 anni.
8 agosto 2012
Die Angst - la paura
ovvero, istruzioni per quando la paura è
l’unico consiglio che ti viene dato.
“Ponsiponsibobobò, vuoi vincere facile?”
Non è decisamente il motto della mia vita.
28 luglio 2012
Una bicicletta può fare
‘una bicicletta può
fare’ doveva essere, nelle mie intenzioni narrative di qualche
giorno fa, un post di natura ben diversa, soprattutto prettamente
teorico. Invece gli episodi degli ultimi due giorni si sono prestati
per un racconto ben diverso.
25 luglio 2012
Doktorandin senza frontiere – la versione accademica di jeux sans frontière
C’è chi pensa che la
vita del ricercatore universitario di antichistica sia di una noia
mortale, una vita passata chiuso in buie biblioteche, lontano dal
contatto umano e connotata da scarsa attitudine allo sforzo fisico.
E lo pensiamo anche
noi stessi ricercatori di antichistica, così tanto che solo quando
raccontiamo alcuni aneddoti del nostro lavoro ci rendiamo conto che
alles ist anders.
La verità è tutta un’altra storia.
15 febbraio 2012
Moon cup e ti vien voglia di parlare di ciclo!
Ho comprato la moon cup ad ottobre e, da
quando la uso, ogni mese ho voglia di parlare del ciclo!
La moon cup è la risposta ecologica e
più igienica all’assorbente usa e getta e irritante.
In estrema sintesi: è una coppetta di
silicone che si inserisce all’inizio del collo dell’utero e
raccoglie il mestruo (non lo assorbe), e va vuotata durante la
giornata. Si utilizza per 10 anni.
Navigando sul web si può anche esser
tratti in inganno e ci si può convincere che sia difficile da usare,
scomoda o dolorosa.
Prima di comprarla mi ero tanto
documentata su forum e con qualche amica coraggiosa, che aveva già
fatto il salto, e l’utilizzo della coppetta non mi sembrava in
verità così pratico ed indolore come poi tutte facevano credere.
Lo scaffale del precario
Mi piacerebbe poter interagire una volta con un ministro e porre qualche domanda per vedere la reazione.
Ma non so proprio come dare voce a questi miei desideri...
Mi piacerebbe chiedere, per esempio, se un ministro ha mai visto lo scaffale di un precario e cosa ne pensa.
Cosa penserebbe un ministro, di quelli che hanno detto tante sciocchezze anche umilianti sui precari del nostro tempo, a guardare lo scaffale di un precario?
Un precario cambia spesso casa/camera, almeno ogni paio d’anni, vuoi perché trova lavoro in città diverse, vuoi perché trova lavoro in punti opposti della città, vuoi perché lo sfrattano sempre o non arriva a pagare l’affitto...
Ma non so proprio come dare voce a questi miei desideri...
Mi piacerebbe chiedere, per esempio, se un ministro ha mai visto lo scaffale di un precario e cosa ne pensa.
Cosa penserebbe un ministro, di quelli che hanno detto tante sciocchezze anche umilianti sui precari del nostro tempo, a guardare lo scaffale di un precario?
Un precario cambia spesso casa/camera, almeno ogni paio d’anni, vuoi perché trova lavoro in città diverse, vuoi perché trova lavoro in punti opposti della città, vuoi perché lo sfrattano sempre o non arriva a pagare l’affitto...
12 gennaio 2012
chiamatelo atlantico. 1.1.2012
Chiamatemi Ismaele. Alcuni anni fa –
non importa quanti esattamente – avendo pochi o punti denari in
tasca e nulla di particolare che m’interessasse a terra, pensai di
darmi alla navigazione e vedere la parte acquea del mondo. È un modo
che ho io di cacciare la malinconia e di regolare la circolazione.
Ogni volta che m’accorgo di atteggiare le labbra al torvo, ogni
volta che l’anima mi scende come un novembre umido e piovigginoso,
ogni volta che mi accorgo di fermarmi involontariamente dinanzi alle
agenzie di pompe funebri e di andar dietro a tutti i funerali che
incontro, e specialmente ogni volta che il malumore si fa tanto forte
in me che mi occorre un robusto principio morale per impedirmi di
scendere risoluto in istrada e gettare metodicamente per terra il
cappello alla gente, allora decido che è tempo di mettermi in mare
al più presto. Questo è il mio surrogato della pistola e della
pallottola. Con un bel gesto filosofico Catone si getta sulla spada:
io cheto cheto mi metto in mare. Non c’è nulla di sorprendente in
questo. Se soltanto lo sapessero, quasi tutti gli uomini nutrono, una
volta o l’altra, ciascuno nella sua misura, su per giù gli stessi
sentimenti che nutro io verso l’oceano.
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